Comunicato stampa 11 11 2021

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Creato Giovedì, 13 Gennaio 2022 Ultima modifica il Martedì, 03 Maggio 2022

Comunicato stampa
11.11 2021

Un anno dopo la sentenza del Tribunale costituzionale polacco, i deputati chiedono al governo di revocare il divieto che mette a rischio la vita delle donne.

Lo scorso settembre, una donna polacca di 30 anni è morta di shock setticemico perché i suoi medici, a causa delle restrizioni imposte all'aborto legale in Polonia, non le hanno praticato un aborto terapeutico, aspettando invece che morisse il feto. In una risoluzione adottata giovedì, i deputati chiedono al governo polacco di garantire che "non una donna di più" in Polonia perda la vita a causa di questa legge restrittiva.

Il testo è stato approvato con 373 voti favorevoli, 124 contrari e 55 astensioni.

Garantire l'accesso a servizi abortivi sicuri, legali e gratuiti

I deputati ribadiscono la loro ferma condanna per la sentenza pronunciata dal Tribunale costituzionale illegittimo il 22 ottobre 2020, che impone un divieto di aborto pressoché assoluto e mette a repentaglio la salute e la vita delle donne. Invitano il governo polacco a garantire rapidamente e pienamente l'accesso a servizi di aborto sicuri, legali e gratuiti per tutte le donne.

A causa di questa legislazione oppressiva, le donne sono spinte a ricorrere forme all’aborto non sicuro, a recarsi all'estero per abortire o a portare a termine la gravidanza contro la loro volontà, anche in caso di malformazione grave o mortale del feto. Il Parlamento invita quindi i Paesi UE a cooperare più efficacemente per facilitare l'accesso transfrontaliero ai servizi abortivi, ad esempio garantendo alle donne polacche l'accesso a un aborto gratuito e sicuro in altri sistemi sanitari nazionali.

La situazione in Polonia continua a peggiorare
I deputati condannano il contesto sempre più ostile e violento per i difensori dei diritti umani delle donne in Polonia e invitano le autorità polacche a garantire loro il diritto di esprimersi pubblicamente senza timore di ripercussioni o minacce. Inoltre, condannano fermamente l'uso sproporzionato della violenza contro i manifestanti da parte delle autorità di contrasto e invitano le autorità polacche a garantire che i responsabili degli attacchi ai manifestanti siano chiamati a rispondere delle loro azioni.


Sottolineando che la sentenza sull'aborto è un ulteriore esempio di acquisizione del controllo politico da parte della magistratura e del collasso sistemico dello Stato di diritto in Polonia, i deputati invitano il Consiglio UE ad affrontare la questione nella sua indagine sulla situazione dello Stato di diritto in Polonia, ampliando l’ambito di applicazione delle sue audizioni.

Contesto

Il 22 ottobre 2020, il Tribunale costituzionale polacco ha dichiarato incostituzionale la disposizione della legge del 1993 sulle condizioni per l’interruzione di gravidanza. Tale legge consentiva l'aborto nei casi in cui gli esami prenatali o altre considerazioni mediche indicassero un'alta probabilità di anomalia grave e irreversibile o di una malattia incurabile pericolosa per la vita del feto. Questo ha comportato un divieto di aborto de facto, dal momento che la stragrande maggioranza degli aborti legali effettuati in Polonia si basava sul suddetto motivo.

Negli ultimi 10 mesi, solo 300 donne polacche hanno avuto accesso ai servizi per l’aborto negli ospedali a causa di una minaccia per la vita e la salute. Nell'ultimo anno, Aborto senza frontiere ha aiutato 34.000 donne provenienti dalla Polonia ad accedere all’aborto, che rappresenta solo una frazione del numero totale di donne polacche che necessitano di sostegno per accedere a questo servizio.

Contatti
Federico DE GIROLAMO Addetto stampa PE



UNA CITTADINANZA PER L’EUROPA, PROGETTO POLITICO E NUOVA IDENTITA'

di Edoardo Pusillo, docente a.c. di Diritto dell’Unione europea
e membro del Comitato Scientifico del CEDU OdV– Italia

- Novembre 2021 -

 

La cittadinanza europea è il presupposto che più di ogni altro identifica l’“appartenenza” all’Unione europea.  E cittadini europei sono tutti i cittadini dei Paesi Ue che condividono un progetto politico comune.

Tzvetan  Zodorov, filosofo e saggista bulgaro naturalizzato francese, ha sottolineato che <un’idea politica accresce la sue efficacia se è sostenuta non solo da interessi comune, ma anche da passioni condivise, che si mettono in moto solo se ci sentiamo toccati nella nostra identità …>[1]. Va da sè che il sentimento di un’identità comune, suggellata da una cittadinanza comune, dà maggior forza al progetto europeo.

L’Europa unita, con i suoi 27 Stati membri e gli oltre 500 milioni di cittadini, rappresenta oggi, a livello internazionale, il più avanzato modello di integrazione, e non solo economica. Si tratta di un modello caratterizzato sia dal processo di attribuzione all’Ue di competenze cedute dagli Stati membri, dal Mercato comune e dalle politiche comuni e pure, aspetto non meno importante, dal riconoscimento della cittadinanza europea..

Jacques Delors[2], storico presidente della Commisisone europea, sostenne: <non vi può essere una avventura collettiva  senza promozione della cittadinanza>.

E la cittadinanza europea, coinvolgendo uomini e donne nel progressivo evolversi dell’integrazione ha innegabilmente rafforzato il concetto di appartenenza all’Unione promuovendo una nuova identità, l’identità europea. Una identità multiculturale e multilinguistica.

Relativamente all’identità europea sempre Tzvetan Zodorov ha spiegato che <L’Unione europea non ha  … l’ambizione di  annullare la specificità degli Stati che la compongono, né sul piano economico e sociale, né  su quello delle strutture giuridiche e amministrative: il suo progetto  non è di costruire uno Stato europeo, o un popolo europeo,  ma di unire quelli che già esistono …>[3].

Nel processo di integrazione che ci ha portato sino all’attuale Ue tanti sono stati i fattori che lo hanno caratterizzato e condizionato ma il fattore “lavoro” è stato innegabilmente di fondamentale importanza. La volontà politica di realizzare un’Europa unita aveva infatti individuato come obiettivo la creazione di un mercato comune generale, cioè l’estensione del funzionamento dei mercati nazionali ai Paesi membri con la creazione di uno spazio economico uniforme all’interno del quale era assicurata la libera circolazione  delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali (le cosiddette quattro libertà fondamentali di circolazione) ma che conservava le frontiere doganali interne[4]. E’ stato conseguentemente inevitabile permettere ai lavoratori degli Stati membri di circolare liberamente all’interno del citato “Mercato comune”. Anzi la libera circolazione della manodopera è stata sin da subito legata indissolubilmente alla realizzazione della Comunità Economica Europea (CEE), divenuta poi, nel corso degli anni, Unione europea

Il timore di movimenti incontrollati di disoccupati  o di persone alla  ricerca di condizioni salariali migliori portò però a riconoscere inizialmente il diritto di circolazione solamente ai lavoratori  in possesso di un contratto di lavoro nel Paese di destinazione. Detto questo la libera circolazione dei lavoratori ci porta a fare due considerazioni:

- la coesistenza su uno stesso territorio di lavoratori nazionali e lavoratori stranieri (in quanto appartenenti ad uno Stato diverso da quello di destinazione) ha dato  origine ad una nuova cateriogia di lavoratori, i lavoratori stranieri comunitari o più semplicemente i lavoratrori comunitari;

- la presenza di lavoratori comunitari portò gli Stati a dover riconoscere anche a costoro i fondamentali diritti economici e sociali  (e proprio il riconoscimento di taluni diritti il lavoratore straniero comunitario fu definito anche “straniero privilegiato”).

Emersa la necessità di riconoscere diritti a persone di un altro Stato che vivevano stabilmente sul territorio dello Stato ospitante e, con il loro lavoro, contribuivano al progresso economico e sociale, il lavoratore comunitario diventò componente del mondo del lavoro europeo in quanto soggetto economicamente attivo ed iniziò ben presto ad avere accesso a tutti i diritti riconosciuti ai lavoratori dello Stato ospitante.

Nell’ambito del processo di integrazione l’Europa diede così vita ad una figura intermedia tra il cittadino (il titolare di tutti i diritti dello Stato) e lo straniero (l’escluso dai diritti), cioè il “lavoratore straniero comunitario” ed è grazie a questa nuova figura che i rappresentanti dei Governi degli Stati europei iniziarono ad ipotizzare della cocreta necessità di istituire un nuova cittadinanza.

Di cittadinanza europea si è parlato per anni ma solo con il Trattato di Maastricht firmato il 7 febbraio 1992 nell’omonima città sita nei Paesi Bassi, sulle rive del Mosa, ed entrato in vigore il 1° novembre 1993, il nuovo “rapporto di appartenenza” all’Unione ha ottenuto rilevanza giuridica. Gli allora dodici Stati membri dopo avere enunciato la volontà di raggiungere <una nuova tappa  nel processo di creazione di una unione  sempre più stretta tra i popoli dell’Europa ….>[5], indicarono tra gli obiettivi futuri dell’Unione quello di <…rafforzare la tutele e gli interessi dei cittadini dei suoi Stati membri mediante l’istituzione di una cittadinanza dell’Unione…>[6]. Questa disposizione, contenuta nei primissimi articoli del Trattato sull’Unione europea,  rappresenta  “l’atto di nascita”, se così lo possiamo definire, della cittadinanza europea. Questo  “atto”  è ribadito nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che sancisce: <È istituita una cittadinanza dell'Unione … >[7].

La cittadinanza europea appartiene a tutte le persone fisiche che sono cittadini di uno Stato membro. Stabilisce infatti il Trattato sull’Unione europea: <È cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro>[8]. Il primo elemento che caratterizza l’appartenenza all’Ue è l’acquisizione automatica. Gli Stati restano competenti a determinare i modi ed i criteri di conferimento della loro cittadinanza nazionale, ma una volta riconosciuta ad una persona la cittadinanza nazionale essa, automaticamente, diventa anche cittadino europeo.

Quando detto rappresenta un elemento di discontinuità rispetto al modi di acquisizione della cittadinanza generalmente riconosciuti ed applicati dagli Stati (ovvero lo jus sanguinis, jus soli, la naturalizzazione ecc).

La cittadinanza europea è pertanto una cittadinanza “derivata” dalla cittadinanza nazionale o meglio “aggiuntiva”. La qualifica di cittadinanza aggiuntiva  risulta senza alcun dubbio da quanto stabilito ulteriormente dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea che stabilisce: <La cittadinanza dell'Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce … >[9],  viene infatti utlizzato il termine “si aggiunge … ” anziché “è complementare … ” come era stato in precedenza previsto nella CE[10]. Adelina Adinolfi e Claudia Morviducci sottolineano, a questo proposito, che la qualifica di cittadinanza aggiuntiva <separrebbe la cittadinanza europea da quella nazionale, di cui non sarebbe più un completamento, e la configurerebbe come una vera e propria seconda cittadinanza, dotata di “autonomia di status”>[11].

L’ autonomo status”  della cittadinza europea porta ad un tema  di non poca rilevanza: considerando che l’acquisto della cittadinanza europea è automatica, la perdita, verrebbe da pensare, avverrebbe altrettanto automaticamente oppure no? In altre parole, qualora uno Stato decida di uscire dall’Ue tutti i suoi cittadini perderebbero la cittadinanza europea?  De resto se viene meno il fondamentale presupposto  della cittadinanza europea, ovvero il perdurare del vincolo associativo di uno Stato di cui si è cittadini, a rigor di logica viene meno anche l’appartenenza all’Europa dei cittadini di detto Stato con le inevitabili ripercussioni su rapporti di lavoro, libertà di circolazione ecc. Questa considerazione però apparirebbe contrastare con  la qualifica di cittadinaza “aggiuntiva” e quell’“autonomia di status” di cui si è detto. Ad oggi l’unico caso concreto è stata la Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Ue,  uscita che ha comportato la perdita della cittadinza europea da parte dei  cittadini britannici ma non pochi questioni da risolvere, in particolare quelle legate alle libertà di circolazione ed ai diritti di coloro che risidevano, lavoravano oppure avevano proprietà in uno Stato dell’Ue.

Poiché la cittadinanza implica un legame caratterizzato dalla conseguente esistenza di situazioni di vantaggio e di svantaggio, cioè di  diritti e di doveri connessi al vincolo giuridico istaurato, al pari di ogni cittadinanza anche quella europea presuppone la sussitenza di diritti e doveri europei. Adelina Adinolfi e Claudia Morviducci sottolineano che <i primi erano espressamente elencati e disciplinati nel Trattato ed avrebbero costituito  anche oggetto di norme secondarie, mentre i secondi  sono rimasti una mera enunciazione, senza contenuto concreto, benchè si sia talvolta fatto cenno alla possibilità di istituire forme di tassazione o di servizio civile>[12].

I diritti dei cittadini europei sono ben definiti ed elencati e la cittadinanza europea consente infatti di godere di diritti supplementari  rispetto a quelli attribuiti  dalla cittadinanza di uno Stato membro. I doveri non sono infatti stati enunciati ma sussite un generrico riferimento  nel Trattato sul funzionamento dell’ Unione europea che precisa: <I cittadini dell'Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei Trattati … >[13].  I doveri europei finiscono con essere compresi nel rapporti di ogni Stato (e quindi dei suoi cittadini) con l’Unione europea.  L’Unione dispone infatti di un ordinamento giuridico autonomo che, nell’ambito delle sue competenze, è in grado di condizionare il diritto interno degli Stati membri, modificandolo o integrandolo, l’Ue ha quindi una propria, autonoma, competenza normativa che si realizza attraverso atti di diritto derivato. In virtù del vincolo di adesione all’Ue gli Stati membri <adottano tutte le misure di diritto interno necessarie per l'attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione>[14]. Gli Stati hanno quindi l’obbligo di tener conto e adeguare il proprio ordinamento giuridico alle norme europee. E le norme europee recepite dalla legislazione statale e qualora abbiano rilevanza per quanto attiene  i doveri rappresentrano un vero e proprio obbligo giuridico per tutti i cittadini degli Stati membri.

I diritti “aggiuntivi” dei cittadini europei (“aggiuntivi” in quanto si aggiungono ai diritti derivanti dalla cittadianza nazionale) sono elencati nel trattato sull’Unione europea e nella Carta dei diritti foindamentali dell’Unione europea. Essi sono:

  1. il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri e stabilirvisi per esercitare un’attività in modo stabile (il cosiddetto diritto di stabilimento);
  2. il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo nello Stato membro di residenza alle stesse condizioni dei cittadini di quello Stato;
  3. il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro di residenza alle stesse condizioni dei cittadini di quello Stato;
  4. il diritto di godere nel territorio di un Paese terzo, nel quale lo Stato membro di origine e del quale si ha la cittadinanza, non è rappresentato, della tutela delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato dell’Unione alle stesse condizioni dei cittadini di quello Stato;
  5. di  presentare una petizione[15] al Parlamento europeo;
  6. di rivolgersi al Mediatore europeo nei casi di cattiva amministrazione delle istituzioni e degli organi europei;
  7. di rivolgersi alle istituzioni e agli organi consultivi dell'Unione in una delle lingue ufficiali  e ricevere la risposta nella stessa lingua;
  8. inoltre, i cittadini (almeno un milione) possono chiedere alla Commissione  di presentare una proposta legislativa su una materia in cui ritengono necessario un atto giuridico dell'Unione ai fini dell’attuazione dei Trattati[16].

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea dedica alla cittadinanza europea l’intero titolo V[17]. La Carta, ribadendo i diritti aggiuntivi, inserisce il “diritto ad una buona amministrazione” precisando < … ogni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell’Unione>[18].

Infine, è importante sottolinare che i diritti del cittadino europeo non sono, come si dice, “un numero chiuso”  ma come stabilisce lo stesso TFUE  <… il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo, può adottare disposizioni intese a completare i diritti elencati … Tali disposizioni entrano in vigore previa approvazione degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali >[19]. In pratica si prospetta l’eventualità di un arricchimento dello status di cittadino dell’Unione senza la necessità di ricorrere ad una modifica dei Trattati[20].

 


[1] Tzvetan  Zodorov , L’identità europea, Garzanti , Milano, p 11.

[2] Jacques Delors, politico ed economista francese, fu presidente della Commisisone europea per dieci anni, dal 1985  al 1995.

[3] Tzvetan  Zodorov, L’identità europea, ed Garzanti, Milano, p 23.

[4] Cfr  AAVV, Dizionario dell’Unione europea, Edizioni giuridiche Simone, 2000.

[5] Art. 2 del Trattato sull’Unione europea.

[6] Art. 3 del Trattato sull’Unione europea.

[7] Art 20 TFUE.

[8] Art 9 TUE.

[9] Art 20 TFUE.

[10] Art 17 CE.

[11] Adelina Adinolfi e Claudia Morviducci, Elementi di diritto dell’Unione europea, Giappichelli editore, Torino, 2020, p 245.

[12] Adelina Adinolfi e Claudia Morviducci, Elementi di diritto dell’Unione europea, Giappichelli editore, Torino, 2020, p 243.

[13] Art 20 paragr 2 TFUE.

[14] Art 291 primo paragrafo TFUE.

[15] Si tratta del diritto del popolo di rivolgersi per iscritto ad un’autorità per chiedere provvedimenti su questioni di interesse comune. Il diritto di petizione è nato in Inghilterra alla fine del Medioevo fu poi accolto in numerosi ordinamenti costituzionali.

[16] Si tratta del cosiddetto “Diritto d’iniziativa dei cittadini europei”.

[17] Artt 39 – 46.

[18] Art 41 paragr 1 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

[19] Art 25 TFUE.

[20] Cfr. Giorgio Gaja, Introduzione al diritto comunitario, Editori Laterza, Bari, 2003.